La storia dell'Italia ai tempi della Seconda Guerra Mondiale vede come spartiacque la data dell'8 settembre 1943. Dopo la destituzione di Mussolini, il nuovo primo ministro Pietro Badoglio rese nota quel giorno la firma dell'armistizio fra l'Italia e le forze alleate. All'indomani dell'8 settembre l'Italia si trovò divisa in due parti: il Centro e il Nord furono occupate dalla Germania nazista e amministrate dal governo fascista della Repubblica Sociale, mentre al Sud, con l'avanzata degli Alleati e la riorganizzazione delle istituzioni monarchiche, si gettavano le basi per il ritorno alla democrazia.
Nei quasi quasi due anni che intercorsero tra l'armistizio e la Liberazione, vi furono oltre 5.500 episodi di violenza omicida pertetrata dalle forze naziste e fasciste, che portarono alla morte di più di 23mila persone. In questi numeri vengono considerate le uccisioni dovute ai rastellamenti, alle esecuzioni "esemplari", alle rappresaglie sui civili e agli omicidi per motivazioni razziali avvenuti sul suolo italiano.
Gli eccidi furono compiuti sia dai reparti nazisti di stanza in Italia sia dalle milizie e forze di polizia fasciste. Più della metà delle vittime furono civili uccisi nelle rappresaglie, la parte restante fu composta soprattutto da partigiani attivi nella Resistenza, da esponenti antifascisti, religiosi e militari. Oltre 1.500 bambini e adolescenti vennero trucidati.
La prima strage fu quella del settembre del 1943 avvenuta in diverse località del Lago Maggiore in provincia di Novara, dove si erano rifugiati alcune famiglie ebraiche. L'episodio più conosciuto è la strage di Meina quando - tra il 22 e il 23 settembre - 16 ospiti ebrei dell'omonimo hotel furono catturati, ucccisi e i loro corpi gettati nel lago.
Il periodo più tragico per numero e intensità delle violenze fu l'estate del 1944, mentre le regioni italiane che pagarono il maggior tributo di vite furono la Toscana e l'Emilia. Oltre 3mila persone morirono in esecuzioni individuali, 20mila in eccidi di massa. Vi furono stragi nelle quali furono massacrati centinaia di civili, arrivando a decimare la popolazione di interi paesi, come a Sant'Anna di Stazzema e nei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno.
Chi organizzò e portò a compimento questi eccidi rimase nella maggior parte dei casi impunito. Nel dopoguerra, per presunti motivi di opportunità politica, si rinunciò al diritto e al dover di giudicare molti dei responsabili ed esecutori delle stragi. Questa scelta venne alla luce con chiarezza nel caso noto come l'Armadio della vergogna, un archivio nel quale rimasero occultati fino al 1994, in uno scantinato della procura generale militare italiana, un'ingente mole di documenti che sarebbe stata fondamentale per conoscere e processare nell'immediato tutti i responsabili degli eccidi nazisti in Italia. Dopo l'apertura dell'archivio le indagini vennero riprese, ormai a oltre cinquant’anni dai fatti, e si svolsero numerosi processi contro coloro che all'epoca erano ufficiali e sottufficiali delle forze armate naziste in Italia. Vi furono molte assoluzioni e una cinquantina di condanne all’ergastolo, ma le sentenze non furono quasi mai eseguite.
L'eccidio delle Fosse Ardeatine
Nella Roma occupata dalle forze del Terzo Reich avvenne una delle maggiori stragi nazifasciste, nota come l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Una strage divenuta negli anni uno dei simboli universali della ferocia nazifascista.
Il 23 marzo 1944, un'azione portata a termine da un gruppo di partigiani dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) causò la morte di 33 occupanti nazisti appartenti al Reggimento Bozen, composto in maggioranza da militari sudtirolesi di lingua tedesca. Un ordigno posto dai partigiani in Via Rasella esplose al passaggio dei soldati, e subito dopo tre partigiani attaccarono il fondo della colonna lanciando delle bombe a mano. La reazione tedesca è immediata e furiosa, ed è lo stesso Adolf Hitler a dare l'ordine per una rappresaglia che, nelle sue parole, "facesse tremare il mondo". Il comando tedesco decide per una "punizione esemplare": per ogni tedesco morto si dovranno uccidere dieci italiani. Il capo della Gestapo a Roma, Herbert Kappler, interagendo con il questore fascista di Roma, Pietro Caruso, inizia a stilare la lista di chi verrà ucciso: 335 uomini e ragazzi, tra detenuti civili e militari, ebrei e semplici sospetti antifascisti, sarebbero morti poche ore dopo.
La Gestapo si occuperà materialmente della strage e i suoi capi romani identificheranno nelle cave di pozzolana di Via Ardeatina il luogo nel quale sarebbe stato compiuto il massacro. Nelle prime ore del pomeriggio del 24 marzo inizia il trasporto dei primi prigionieri verso le cave, a bordo di camion, e alle 15.30 i primi cinque verranno uccisi. Ogni esecuzione avverà con questa modalità: cinque uccisioni per volta, con un colpo di pistola alla nuca. A tenere in mano la lista, spuntando i nomi delle persone già uccise, è il vicecomandante del quartier generale della Gestapo a Roma, Erich Priebke. Alle ore 20, con l'uccisione degli ultimi cinque uomini, la strage è ormai compiuta e i nazisti fanno saltare con dell'esplosivo gli ingressi delle cave per sigillarne ogni entrata. Alle ore 22.55 il comando tedesco dirama alla stampa un comunicato nel quale afferma di aver "ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito".
In poche ore, all'insaputa della popolazione romana, tra il silenzio del Vaticano e la complicità delle autorità fasciste, avvenne una delle più sanguinose stragi nazifasciste in Italia. Nei giorni successivi i cittadini di Roma si resero sempre più conto di cosa era accaduto, ma fu solo dopo la Liberazione della Capitale da parte delle truppe alleate che si potè procedere all'esumazione e al riconoscimento dei corpi.
Chi andava a morire non aveva nessuna idea del destino che lo aspettava al termine del trasporto verso la Via Ardeatina. Quasi nessuno riuscì a scrivere un ultimo messaggio ai propri cari, come invece fece il partigiano Antonio Prosperi. Prosperi non morì subito dopo la fucilazione, riuscì a slegarsi e con una penna stilografica che aveva in tasca scrisse su pezzo di carta: "A Dina e alle figliole mie, a rivederci in Paradiso. Vostro marito e padre diletto". Allo stesso modo nessuno dei familiari delle vittime aveva avuto notizia dell'imminente esecuzione, e per tantissimi la certezza della loro morte avvenne solo con il riconoscimento del corpo, dopo mesi e spesso dopo lunghissimi anni. Come per Marco Moscati, ebreo romano che si era unito a 24 anni al gruppo partigiano di Albano, identificato con certezza come vittima dell'eccidio dopo 67 anni, attraverso l'esame del Dna dei resti. Di alcune vittime è ancora ignota l'identità.
Ogni singola storia andrebbe raccontata, perché alle Fosse Ardeatine fu uccisa tutta Roma e tutta l'Italia: operai e contadini, artigiani e artisti, sacerdoti cattolici e atei, ebrei, professori e studenti, militari, intellettuali e analfabeti, giovanissimi e anziani, poveri e ricchi, romani e siciliani, lombardi e pugliesi. Tutti uomini, le vittime della strage. La cui memoria è stata tramandata da altre vittime, soprattutto donne: le loro madri e le loro mogli, le figlie e i figli che per settimane cercarono tra i resti umani un segno per riconoscere i corpi dei propri cari.
Le Fosse Ardeatine, come afferma lo storico Alessandro Portelli, sono il simbolo di Roma e un vero e proprio monumento all'Unità nazionale. Perché il simbolo della violenza che ha colpito la Capitale rimanda a tutte le migliaia di stragi e violenze subite dagli italiani per mano nazista e fascista.
Immagine della retata di fronte al Palazzo Barberini a Roma, da parte di truppe tedesche e fasciste repubblicane, dopo l'attacco partigiano in Via Rasella.
Archivio Federale tedesco
Lo storico Amedeo Osti Guerrazzi approfondisce il contesto storico dall'occupazione di Roma all'eccidio delle Fosse Ardeatine
Il Procuratore Generale Militare Marco De Paolis racconta i processi, le sentenza e le condanne dei responsabili dell'eccidio
BIBLIOGRAFIA
L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria - Portelli Alessandro - Donzelli - 1999
Le Fosse Ardeatine. La geografia del dolore - Ascarelli Attilio- Anfim - 1974
Zone di guerra, geografie di sangue. L'Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (1943-1945) - a cura di Fulvetti Gianluca e Pezzino Paolo – Il Mulino - 2017
FILMOGRAFIA
Roma città aperta - Roberto Rossellini - 1945 - 100 min
Sorgente di vita – 70esimo anniversario
Sorgente di vita – Intervista a Giulia Spizzichino
Ascanio Celestini – Radio Clandestina
Luchino Visconti – Documentario d'epoca
SITOGRAFIA
Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia
Mausoleo delle Fosse Ardeatine