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Arte e Shoah

Arte e Shoah

La presa del potere da parte dei nazisti nel 1933 comportò, fin da subito, la messa in atto di azioni volte a cancellare quella cultura che l'ideologia del regime considerava anti-tedesca per motivi politici e razziali. Nel maggio del 1933, quando erano passati poco più di quattro mesi dall'instaurazione del regime, nei roghi dei libri vennero dati alle fiamme decine di migliaia di volumi di autori contemporanei e del passato, tedeschi e non.

Presto la battaglia contro la "parola scritta" si volse anche contro quell'arte figurativa che venne definita "degenerata". Come avvenne per gli "uomini di lettere", i maggiori artisti tedeschi non graditi al regime furono allontanati dai loro incarichi pubblici e accademici, perseguitati e, per molti di loro, la consapevolezza di ciò che stava accadendo li costrinse di fatto all’esilio. Le loro opere vennero ritirate dai musei, così come lo furono quelle dei grandi artisti stranieri "colpevoli", agli occhi dei nazisti, di essere avversi ai valori della classicità, dell’ordine e della "razza ariana".

Come nei roghi dei libri, il regime nazista volle colpire, anche simbolicamente, gli artisti e il prodotto del loro talento: il 19 luglio 1937 fu inaugurata a Monaco di Baviera una mostra dal titolo "Arte degenerata", che conteneva oltre 600 opere di 112 artisti, confiscate ai musei tedeschi e considerate come esemplari di tale degenerazione. La maggior parte delle opere erano di artisti tedeschi, fra questi Paul Klee, Otto Müller, George Grosz, Emil Nolde e Otto Dix, mentre tra gli artisti stranieri troviamo nomi quali quelli di Marc Chagall, Vasilij Kandinsky e Piet Mondrian. In quattro mesi furono due milioni le persone che visitarono la mostra, che fece poi tappa in altre città del Terzo Reich, dove vi furono un altro milione di visitatori.

Al termine delle esposizioni parte delle opere esposte furono vendute in un'asta pubblica che si tenne nella città svizzera di Lucerna, i cui proventi andarono a beneficio delle finanze naziste. Nei mesi precedenti lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il regime fu infatti impegnato nell'ottenere il maggior profitto possibile dalle decine di migliaia di opere confiscate negli anni, vendendole a collezionisti di tutto il mondo. Circa 5mila di queste, rimaste invece invendute, vennero distrutte nel fuoco a Berlino. Dopo la fine del conflitto i governi delle due Germanie e i legittimi proprietari hanno dato il via ad azioni di recupero, che continuano ancora oggi, delle opere sequestrate e vendute dai nazisti.

Il rapporto tra nazismo e arte non si limitò però solo alla persecuzione degli autori sgraditi al regime e alla censura delle loro opere, ma si svolse anche attraverso un suo utilizzo propagandistico. Ogni prodotto artistico doveva esaltare le virtù tedesche e la visione del mondo nazista, così come onnipervasiva era la denigrazione e la propagazione dell'odio verso i "nemici" della nazione, politici o razziali che fossero. Ogni aspetto della vita ufficiale del regime era costruito come la narrazione della potenza della razza ariana e della sua rinascita durante il Terzo Reich, dopo le umiliazioni subite con la sconfitta nel primo conflitto mondiale e nel dopoguerra.

La totalizzante auto-rappresentazione di grandezza creata per le Olimpiadi di Berlino del 1936 e l'ossessiva presenza dei manifesti antibolscevichi e antisemiti, gli pseudo-documentari scientifici a favore dell'eutanasia per i disabili fisici e mentali e la quotidiana propaganda di radio e carta stampata: sono tantissimi gli esempi che possono essere riportati del perverso rapporto tra arte e regime, ma tragicamente emblematica per comprendere il grado di distorsione ideologica dello strumento artistico fu la realizzazione da parte dei nazisti di un finto documentario sul campo-ghetto di Theresienstadt (Terezin), uno dei più terribili documenti di propaganda mistificatoria della Storia.

Attori, musicisti e lo stesso regista del film, Kurt Gerron, erano tutti prigionieri del lager, costretti, sotto il controllo delle autorità, a rappresentare la verità propagandata dai nazisti: ovvero che quello di Theresienstadt fosse un insediamento ebraico nel quale gli abitanti, soprattutto anziani, bambini, artisti e intellettuali, vivevano felicemente. Il lager veniva presentato dal regime di Berlino come una "città modello", ma in realtà si trattava di un luogo di raccolta e smistamento di prigionieri da indirizzare soprattutto ai campi di sterminio. Nel 1944, per far fronte alla crescente consapevolezza internazionale delle atrocità naziste, i nazisti permisero a una commissione della Croce Rossa di entrare a Theresienstadt. In previsione della visita furono adottate misure per "abbellire" il campo: gran parte della popolazione venne deportata per ridurne il sovraffollamento, fu costruita una piscina, creati giardini e ristrutturate le baracche. Riuscito l'inganno alla Croce Rossa, il regime decise di girare un film-documentario che potesse avvalorare ulteriormente tale finzione, con l'intento di diffonderlo nei paesi neutrali per contrastare le notizie che iniziavano ad emergere sullo sterminio del popolo ebraico.
Nel documentario, andato quasi interamente perduto, erano rappresentate scene che ritraevano residenti ebrei che partecipavano a eventi sportivi, assistevano a concerti musicali, lavoravano serenamente, si rilassavano e mangiavano insieme. Nulla, ovviamente, di più falso: 33mila prigionieri morirono a Theresienstadt, più della metà dei 140mila ebrei che vi furono internati vennero poi deportati nei campi di sterminio dell'est. Tra questi vi fu la maggior parte degli attori e dei musicisti costretti a recitare nel film, così come il regista Kurt Gerron, che venne ucciso ad Auschwitz.

Se la propaganda inventava "città felici" per gli ebrei, nei lager, nei ghetti e nei nascondigli i perseguitati cercavano invece disperatamente di non morire. Oltre alla quotidiana, imprescindibile, lotta per la sopravvivenza fisica alla quale erano costretti, molti cercarono e trovarono una risposta intima per mantenere la propria dignità di esseri umani e conservare la propria libertà interiore. In questa "Resistenza Spirituale" un ruolo di primaria importanza fu svolto dall'arte. Numerosi tra i sopravvissuti alla Shoah hanno testimoniato come il rivolgersi, anche solo idealmente, all'arte - letteraria, figurativa o musicale - fu di fondamentale aiuto per permettere loro di sopravvivere interiormente. In condizioni al limite del disperante, vennero scritti racconti, composte poesie e partiture musicali, realizzati disegni. Tante persone comuni tennero diari personali ai quali affidare le proprie sofferenze e riflessioni.

Dei tanti artisti già affermati e dei giovani di straordinario talento perseguitati dai nazisti, ricordiamo Charlotte Salomon. Nata a Berlino nel 1917, Charlotte visse l'ascesa al potere di Hitler e le discriminazioni antisemite in Germania. Nel 1938, dopo la Notte dei Cristalli, il padre la fece fuggire verso il sud della Francia, dove si erano già rifugiati i nonni. Qui trovò nella pittura, nella musica e nella scrittura gli strumenti per rappresentare le proprie, intime e profonde, inquietudini e per raccontare gli avvenimenti storici che stava vivendo in prima persona.
Nel 1940, con l'occupazione nazista della Francia, Charlotte venne detenuta per alcuni mesi nel campo di internamento di Gurs. Dopo la fine della detenzione, la giovane si immerse sempre più nella pittura e iniziò la realizzazione dei dipinti raccolti sotto il titolo "Vita? O Teatro?". Nel settembre del 1943 sposò un altro rifugiato ebreo-tedesco, Alexander Nagler, dal quale aspettava un figlio. La coppia venne arrestata poco dopo il matrimonio. Il 7 ottobre Charlotte fu deportata ad Auschwitz e venne lì uccisa all'arrivo: aveva 26 anni ed era incinta di cinque mesi.

Il suo precoce talento ci ha lasciato un'importante testimonianza artistica della tragedia collettiva e individuale della quale fu vittima, ma le sue opere possiedono un valore artistico che oltrepassa il contesto storico nel quale furono realizzate. I suoi lavori, più di mille dipinti, oltre a testi scritti e componimenti musicali, si sono salvati grazie a un amico - il dottor Moridis, che le era stato vicino in quegli anni - al quale l'artista li aveva affidati, consapevole di quale futuro potesse attenderla. Sono oggi conservati all'interno del Jewish Historical Museum di Amsterdam e negli anni sono stati esposti anche in numerosi altri musei del mondo.

Dopo la sconfitta del nazifascismo, l'arte è stata infine uno strumento fondamentale per la rielaborazione individuale e collettiva della Shoah, per rendere possibile la riflessione su ciò che era avvenuto. Le opere realizzate negli anni dai sopravvissuti allo sterminio, così come quelle dei grandi pittori, scultori, musicisti, cineasti e scrittori che, pur non avendo vissuto in prima persona le discriminazioni e le persecuzioni naziste le hanno rappresentate nelle loro opere, hanno contribuito in maniera sostanziale a diffondere conoscenza e consapevolezza dello sterminio e a trasmetterne la memoria attraverso le generazioni.

BIBLIOGRAFIA
L' uomo che salvò la bellezza - Francesco Pinto - HarperCollins Italia - 2020
Il mercante d'arte di Hitler - Meike Hoffman, Nicola Kuhn - Newton Compton Editori - 2016

FILM
Charlotte - Tahir Rana, Eric Warin - 2021 - 92 min
Nel nome di Antea - Massimo Martella - 2018 - 75 min
Monuments Men - George Clooney - 2014 - 118 min
Woman in Gold - Simon Curtis - 2015 - 110 min
Hitler contro Picasso e gli altri - Claudio Poli - 2018 - 94 min

LINK
Holocaust Encyclopedia - L'arte degenerata (in inglese)
https://encyclopedia.ushmm.org/content/en/article/degenerate-art-1
Holocaust Encyclopedia - Theresienstadt: A Documentary Film, 1944 (in inglese)
https://perspectives.ushmm.org/item/theresienstadt-a-documentary-film-1944
Charlotte Salomon, Vita? O Teatro? - Mostra online
https://charlotte.jck.nl/

 

IMMAGINE
Opera di Bedrich Fritta realizzata nel campo-ghetto di Theresienstadt
https://it.wikipedia.org/wiki/File:A_transport_leaves_the_ghetto.jpg

Tags: arte della shoah