«Nell’arco di oltre sei mesi [i nazisti così chiamati] insieme ai loro complici traditori e traditrici della nostra madrepatria socialista Tishchenko V., Rechkalov I., Misan G., Lastovina M., Pushkarev N., Tuchkov G., Paramonov I., Natspok Yu., Kotomtsev I., Pavlov V. e Kladov I., con vari metodi bestiali stavano annientando la popolazione civile della città di Krasnodar e della regione di Krasnodar. I mostri hitleriani e i loro complici sopra citati spararono, impiccarono, soffocarono con il velenoso gas monossido di carbonio e torturarono a morte molte migliaia di innocenti sovietici, tra i quali donne, anziani e bambini». (dalla sentenza del processo di Krasnodar del 1943)
Dal 14 al 17 Luglio del 1943 a Krasnodar, presso il cinema Velika: l’auditorium più capiente della città, dinanzi a un tribunale militare sovietico si tenne il primo processo per i crimini compiuti dai nazisti e dai loro collaboratori contro civili e prigionieri di guerra. Gli imputati furono 11 cittadini sovietici Vladimir Tischenko; Ivan Kotomtsev; Nikolai Pushkarev; Mikhail Lastovina; Georgi Misan; Ivan Kladov; Vassily Pavlov; Ivan Paramonov; Gregori Tuchkov; Ivan Rechkalov; Yakov Naptsok che avevano agito nell’unità ausiliare del Sonderkommando[1] 10 a (parte dell’Einsatzgruppe[2] D), nei casi di circa 7000 uccisioni compiute nella cittadina e nelle zone limitrofi tra l’agosto del 1942 e il febbraio del 1943, sotto il comando dell’Obersturmbannführer delle SS Kurt Christmann. Tra gli altri reati questa unità era stata responsabile dell’uccisione dei pazienti dell’ospedale cittadino, della casa di convalescenza di Berezhanka e dell’ospedale pediatrico del distretto. Gli imputati erano accusati di essere stati collaborazionisti (lett. in russo “posobniki”) delle truppe tedesche occupanti, partecipando a vario titolo nello sterminio dei civili: nelle esecuzioni o nei rastrellamenti o nella logistica. Per la prima volta in un’aula di un tribunale venne alla luce lo sterminio di massa mediante gassazioni ordito dai nazisti. Venne palesato l’utilizzo da parte dei soldati del Reich di furgoni modificati con un comparto a chiusura stagna per gassare i passeggeri con i gas di scarico: Gaswagen. Tra i 22 testimoni ascoltati nel corso del processo vi fu anche un sopravvissuto a questa, che si era salvato respirando attraverso un lembo di stoffa imbevuto delle proprie urine. La reporter del giornale sovietico Pravda Elena Kononenko definì “Dushegubka” (distruttori di anime) queste camere a gas mobili.
“Il "distruttore di anime" non era semplicemente la delirante e meschina tirannia di Christmann. Il distruttore di anime era un metodo per lo sterminio programmato del popolo sovietico, ideato da Hitler e dalla sua banda. L’assassinio di abitanti pacifici, la violenza, l’intimidazione la terrificante tortura durante gli interrogatori, le vili provocazioni e la punizione attraverso i “Sonderkommando” formati da criminali. Questo è il sistema dell’esercito di Hitler”.
(dall’articolo di Elena Koronenko, Zonderbanda, Pravda del 17 Luglio 1943)
Da queste aule le Gaswagen divennero il simbolo dello sterminio pianificato, industrializzato e spersonalizzante per le vittime e per i carnefici.
Negli atti di accusa e in tutto l’iter processuale non venne mai menzionato il fatto che la maggior parte delle vittime era della comunità ebraica. La persecuzione degli ebrei venne accennata solo da un testimone, che raccontò l’irruzione dei nazisti nell’ospedale cittadino e la loro richiesta di consegnare eventuali ebrei. Gli accusatori non accennarono mai allo sterminio degli ebrei e gli accusati confessarono i crimini compiuti, senza mai l’appartenenza delle loro vittime a gruppi che non fossero quello dei “cittadini sovietici”. Il capo del Dipartimento della Propaganda e Agitazione del Partito comunista Sovietico Georgy Alexandrov, infatti, aveva stabilito la linea comunicativa in ogni atto e occasione ufficiale: non si poteva specificare l’appartenenza alla comunità ebraica di eventuali vittime civili e neppure di partigiani o soldati che si erano distinti per atti eroici.
Otto imputati vennero condannati a morte e i restanti a 20 anni di lavori forzati. Le condanne a morte vennero eseguite il giorno stesso della pronuncia della sentenza, il 18 luglio, nella pubblica piazza, dinanzi a circa 30.000 persone. Il processo ebbe due scopi: mostrare che i crimini compiuti dall’esercito nazista non sarebbero rimasti impuniti e che i collaborazionisti con l’occupante fossero dei personaggi che vivevano ai margini della comunità, lontani dallo spirito sovietico. Vi fu una notevole eco mediatica con report riprodotti nei giornali sovietici e delle nazioni dell’Ovest, che in questo caso spesso traevano spunto anche dalla narrazione fatta dal giornalista statunitense Edmund W. Stevens, che da tempo risiedeva a Mosca. I cronisti dell’Armata rossa più famosi, però, non erano presso il tribunale, poiché stavano seguendo le truppe al fronte, che prendevano parte all’operazione Kutuzov e agli scontri lungo la linea Oryol-Kursk-Belgorod. Alcuni stralci delle sessioni vennero tradotti in più lingue e destinati alla pubblicazione in brevi testi destinati al pubblico delle Nazioni Alleate, come The Trial in the case of the atrocities committed by the German fascist invaders and their accomplicers in Krasnodar, pubblicato già nel 1943.
Lo scrittore e poeta Ilya Selvinski, soldato dell’Armata rossa, assistette al processo e tra il settembre e l’ottobre del 1943 scrisse un breve poema intitolato Il processo di Krasnodar, pubblicato a guerra finita. In 300 versi, per lo più in pentametro giambico, egli raccontò la storia del primo processo nel quale risuonarono nelle aule di un tribunale le parole dei crimini compiuti dalle truppe del Terzo Reich e dai loro collaboratori. Egli consegnò ai posteri anche le emozioni dinanzi alle immagini dell’esecuzione della sentenza, che erano state riprese nel documentario sul processo girato dalla propaganda sovietica e distribuito nell’agosto del 1943 con il titolo “Il verdetto del Popolo”.
“E ora un militare al microfono
legge il verdetto. Il comando rimbomba.
I camion si staccano
gli sgabelli cadono. Ma Rychalov,
facendo uno sforzo inimmaginabile,
in questa vergognosa, in questa sete di vita di kulako[3],
È riuscito a salire sul lato del veicolo
e visse un secondo più a lungo degli altri.
[…]
"Ti dispiace per loro?" mi chiese N.N.
(scrivendo sul polsino della camicia:
"oscillano come pendoli"). "Ebbene?
Ammetti, ti dispiace?"
No, non mi dispiace affatto".
Non ti credo. Questa tua risposta non è altro che propaganda".
“E tu, collega, hai visto a Kerch
settemila cadaveri?"
“No, non l'ho fatto".
“SETTE.
C'erano bambini, donne, portatori di handicap.
È possibile che QUESTI gli abbiano sparato.
Ora per loro mi dispiace".
“Posso immaginare.
Eppure non sei d'accordo: quelli sono già morti,
ma questi sono vivi. Come cristiano,
ora devo provare compassione per loro".
Un dolore impensabile, come se fossi stato colpito,
mi interruppe il respiro per un momento
e [colpito] con la nausea alla gola.
"Vai via."
Il "cristiano" era sbalordito.
«Va-i vi-a!
Grazie a Dio nessuno
ha sentito la tua ultima frase. Il tuo hotel,
il secondo isolato e sulla destra. Vai ora!
Mi dispiace molto per il tuo Cristo".
( da I. Selvinski, Il processo di Krasnodar)
[1] Lett. Menzionati nel testo in lingua come commando speciali, da non confondersi con quelli creati dalle SS nei Lager e formati da deportati n.d.r.
[2] Le E. erano sei unità principali organizzate da Reinhard Heydrich dopo l’invasione dell’URSS in supporto alle armate tedesche, con il compito specifico di uccidere gli “elementi ostili” nelle zone conquistate, soprattutto gli abitanti ebrei. Vi facevano parte uomini del Servizio di Sicurezza (SD), delle SS e della polizia tedesca.
[3] Così nel testo.
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Immagine di copertina: Il banco degli imputati nel processo di Krasnodar (fotogramma da "Il Verdetto del Popolo" (1943).
Immagine 2: Frontespizio del testo pubblicato da Mosca in lingua inglese Trial in the case of the atrocities committed by the German fascist invaders and their accomplicers in Krasnodar (1943).
Immagine 3: pagina del quotidiano del Ministero della Difesa sovietico "Stella Rossa" (Krasnaya Zvezda) del 15 luglio 1943 con il rsoconto della Tass sul processo di Krasnodar.