A corredo della Dichiarazione di Mosca del 30 novembre del 1943 il Presidente statunitense Roosevelt, il Primo Ministro inglese Churchill e il Leader sovietico Stalin sottoscrissero la “Dichiarazione sulle Atrocità”. In essa si dava avvertimento del fatto che i Tedeschi che avevano preso parte “ad atrocità, a massacri e a esecuzioni” sarebbero stati processati per i loro “abominevoli atti” negli Stati dove li avevano compiuti, da tribunali locali. Per i maggiori criminali di guerra che non erano legati direttamente a luoghi del crimine, poi, si stabiliva che sarebbero stati puniti a seguito di una decisione congiunta degli Alleati. Venivano così gettate le basi per istituire dei processi per i criminali di guerra nazisti e un tribunale ad hoc per i capi del Terzo Reich. Al contempo, però, si avvertivano tutti coloro i quali non avevano preso parte a tali crimini affinché continuassero a mantenere tale linea, per non incappare nel percorso dell’inevitabile giustizia, anche in tempo di un eventuale armistizio.
Con l’avanzata delle truppe alleate venivano contestualmente identificati i luoghi dei massacri compiuti dalle truppe del Reich. Lì venivano raccolte prove e testimonianze. I processi per i crimini nazisti seguirono, così, l’andamento del fronte del conflitto. Kharkov (oggi Kharkiv) era la seconda città per ordine di grandezza nell’Ucraina sovietica. Era stata occupata dai nazisti il 23 ottobre del 1941, fu teatro di aspre battaglie e venne liberata definitivamente dall’Armata rossa il 23 agosto del 1943. Qui dal 15 al 18 dicembre dello stesso anno, dinanzi al tribunale militare sovietico del Fronte Nord Caucasico, si tenne il secondo processo (dopo Krasnodar) con oggetto i crimini compiuti dal nazionalsocialismo nei territori occupati. Questo procedimento, però, fu il primo con imputati dei cittadini tedeschi. Il palazzo dell’Opera venne scelto per ospitare le udienze perché era l’unico di grandi dimensioni sopravvissuto alle battaglie per la città e a due anni di occupazione nazista. Qui, per la prima volta dallo scoppio del conflitto comparirono come imputati per i crimini compiuti 3 cittadini tedeschi: Reinhard Retzlav, ufficiale del 560° Gruppo della Geheime Feldpolizei, Hans Ritz, vicecomandante del Sonderkommando SD di una compagnia SS, Wilhelm Langheld, capitano del Servizio militare tedesco di controspionaggio e comandante di un Kriegsgefangenlager e il cittadino russo Mikhail Petrovich Bulanov, che serviva come autista per il Sonderommando SD di Kharkov. I tre imputati del Reich rappresentavano anche dei simboli, poiché ognuno apparteneva a una delle strutture che avevano attuato l’occupazione e dato vita al terrore sistematico nazionalsocialista nei territori sovietici del distretto.
Proprio perché il primo con imputati tedeschi, il processo fu presentato dalla propaganda come per l'inizio: "del grande processo che si terrà contro tutti i delinquenti di Hitler". Pur se spettacolarizzato dalla propaganda fino a diventare materiale per il documentario “Un passo verso la giustizia” (1943), e pur se con difetti procedurali, rappresentò il primo passo verso la costituzione di un futuro tribunale interalleato per stabilire le responsabilità e punire i colpevoli dei crimini nazisti. Per questo da parte delle autorità sovietiche venivano invocate “leggi e norme del diritto internazionale” e agli accusati era contestata la violazione delle regole di guerra stabilite dalle convenzioni internazionali e dalle norme giuridiche internazionali (non tutte ratificate dall'URSS).
Illuminati dalle luci per le riprese in aula, gli imputati vennero fatti accedere al banco indossando i gradi e le medaglie conquistate, che la propaganda sovietica presentò come ottenute per i crimini compiuti contro i pacifici cittadini sovietici (in russo mirnye sovetskie zhiteli). Gli uomini del Politburo fecero dare una copertura mediatica importante al processo, avvalendosi dei propri reporter di punta e contribuendo alla diffusione della notizia all’estero attraverso giornali stranieri e il coinvolgimento delle agenzie di stampa più importanti come Reuters e Associated Press. I cronisti degli Stati Alleati, però, ebbero accesso diretto all’aula solo nell’ultimo giorno e poterono assistere all’esecuzione delle sentenze.
Durante le audizioni, non venne mai menzionato il fatto che la maggior parte delle vittime erano ebree. Tutte vennero genericamente indicate come «pacifici cittadini dell’Unione sovietica». Questo accadde anche quando le fattispecie contestate erano frutto di specifiche attuazioni della politica antisemita del Terzo Reich. Così, per esempio, per denunciare la creazione del ghetto l’accusa parlò de “il forzato reinsediamento di cittadini sovietici nelle zone periferiche della città”. Tutto questo accadeva mentre nei Paesi alleati erano già stati pubblicati testi, articoli e report che documentavano i crimini compiuti dalle truppe tedesche contro gli ebrei nei territori occupati, soprattutto nelle terre di Polonia fatte diventare Generalgouvernement für die besetzten polnischen Gebiete (Governatorato Generale per la regione polacca Occupata). Addirittura, nella stessa Kharkov liberata, nel settembre del 1943 una commissione di 13 rappresentanti della comunità locale e dell’esercito aveva stilato un rapporto dal titolo “Sulle fucilazioni di massa degli ebrei per opera dei criminali nazisti nella valle di Drobizki”. Come nel processo di Krasnodar, a Kharkov si seguiva la linea politica dettata dal Politburo, che presentava le operazioni naziste come miranti allo sterminio del popolo slavo e russo omettendo i crimini compiuti espressamente conto gli ebrei. Forse il silenzio sulla specificità antisemita di parte dei crimini nazisti nelle terre sovietiche era anche per non dare seguito alla propaganda nazista che parlava dell’esistenza del complotto “Giudeo-Bolscevico”.
L’atto di accusa letto dinanzi al pubblico e alle cineprese riportava:
“Nel caso delle atrocità commesse dagli invasori fascisti tedeschi nella città di Kharkov durante il periodo della loro occupazione. Sotto la direzione dei loro supervisori, le truppe fasciste tedesche asfissiarono in “furgoni della morte” appositamente equipaggiati, impiccarono, fucilarono o torturarono a morte molte decine di migliaia di cittadini sovietici; razziarono le proprietà dello Stato […] diedero alle fiamme e distrussero interi villaggi e centri abitati; condussero in istato di schiavitù in Germania centinaia di migliaia di pacifici cittadini. Tutti questi crimini e oltraggi non sono fatti solati, ma solo un anello di una lunga catena di crimini che sono stati commessi e continuano a esserlo da pare degli invasori tedeschi sotto le istruzioni dirette del Governo tedesco e del Comando Supremo dell’esercito tedesco”.
Per la pubblica accusa coloro i quali avevano scelto di essere strumenti per attuare tale piano voluto dalle autorità del Terzo Reich erano loro complici e quindi egualmente colpevoli.
Dal primo giorno sfilarono testimoni che raccontavano gli orrori compiuti dalle truppe naziste contro la popolazione civile: dall’uso delle Gaswagen, alle fucilazioni di massa, all’invio ai cosiddetti campi per prigionieri, fino alla morte per fame. Per la prima volta degli imputati tedeschi raccontavano l’orrore perpetrato:
- utilizzo delle Gaswagen:
Accusa: Quanti cittadini sovietici sono stati sterminati con il furgone a gas con la vostra diretta partecipazione?
Retzlaff: Personalmente ho partecipato due volte al caricamento delle persone nel furgone a gas. Ci metto una ventina di persone ogni volta.
Accusa: Come sono state sepolte le persone uccise nel furgone a gas?
Retzlaff: I corpi delle persone assassinate furono sepolti in un burrone a sud di Kharkov o bruciati.
Accusa: Sono stati bruciati?
Retzlaff: Mi è stato ordinato di accompagnare un furgone a gas nella zona delle baracche della fabbrica di trattori di Kharkov. Il furgone del gas si fermò davanti a una baracca dipinta di grigio. La S.D. gli uomini saltarono fuori dall'auto e cominciarono a scaricare i corpi delle persone assassinate dal furgone a gas e li trasportarono in questa baracca. Quando sono entrato ho visto che le stanze a destra e sinistra erano già stipati di cadaveri portati lì prima.
- fucilazioni di massa:
Ritz: Il maggiore Kranebitter portò me e diversi ufficiali in un villaggio vicino alla città di Kharkov dove avrebbe avuto luogo la fucilazione. Lungo la strada incontrammo tre camion carichi di prigionieri accompagnati dalle SS diretti nello stesso luogo. L'auto su cui viaggiavo arrivò in una radura del bosco dove erano state scavate delle fosse. Questa radura era circondata dalle SS. Ben presto arrivarono i camion con i prigionieri. I prigionieri furono divisi in piccoli gruppi e furono fucilati dalle SS con fucili automatici. Il maggiore Kranebitter mi ha detto: "Mostraci di che pasta sei fatto". Come militare e ufficiale non ho rifiutato. Presi il fucile automatico da uno degli uomini delle SS e sparai ai prigionieri.
Accusa: Tra le persone colpite c'erano donne e bambini?
Ritz: sì. Ricordo una donna con un bambino. La donna, cercando di salvare il bambino, lo copri con il suo corpo
- deportazioni nei Lager e la morte per vessazioni:
Accusa: Ci dica perché, quando ufficiali e soldati tedeschi sono arrivati al campo - come lei ha testimoniato durante l'esame preliminare – hanno strappato i berretti ai prigionieri di guerra e li hanno gettati in una zona vietata lager.
Langheld: I soldati lo praticavano come uno sport per dimostrare il loro disprezzo nei confronti dei russi.
Accusa: E cosa è successo dopo?
Lagerfeld: quando i prigionieri cercarono di prendere i loro berretti la guardia sparò contro di loro. Naturalmente ci sono stati casi in cui venivano uccisi.
[…]
Accusa: soldati e gli ufficiali tedeschi si sono impossessati dei vestiti dei prigionieri?
Langheld: Si. Gli era tolto tutto.
Accusa: vuol dire che gli veniva rubato?
Langheld: si è così.
Dalle testimonianze emerse come i crimini nazisti fossero il risultato di un processo di sterminio ex lege, meccanicamente perpetrato da carnefici che, pur dichiarandosi autori dei fatti contestati, si trinceravano dietro la difesa “Ho solo obbedito agli ordini”. Anche nell’ultima dichiarazione degli imputati, chiesero la grazia per ragioni di età, perché avevano agito sotto l'obnubilamento della propaganda nazista, ma soprattutto perché avevano "solo eseguito gli ordini”. Tale linea difensiva venne adottata dai criminali nazisti anche nei processi successivi.
Il pubblico ministero Dunayev aveva concluso nella requisitoria che, pur avendo tutti gli imputati agito secondo ordini superiori, tale situazione non scagionava dalla responsabilità personale. Il processo si concluse dopo tre giorni di udienze, con 4 condanne a morte, eseguite il giorno 19 dicembre.
I giornalisti sovietici che seguirono il processo sottolinearono il fatto che i soldati nazisti, come spesso definiti dalla propaganda come non umani, erano persone che avevano scelto di obbedire ciecamente agli ordini che portavano a compiere crimini belluini. Quasi anticipando di vent'anni la teoria della filosofa Hannah Arendt, dai loro reportage emerse la banale adesione al male fatta da “esseri scomodamente umani”.
"Uccidevano tutto il giorno, ma nonostante tutto quel sangue, la cui vista, si potrebbe pensare, turberebbe anche gli assassini, conservarono le loro abitudini metodiche. Hanno sparato alle persone fino al momento esatto in cui dovevano andare a bere il caffè della sera. E quando fu l'ora di bere il caffè della sera, se ne andarono, lasciando sotto sorveglianza fino al mattino coloro a cui non avevano sparato...Trovo strano che questi tre assomiglino a persone comuni. Trovo strano pensare che dormano, mangino e vadano in giro proprio come fanno tutte le altre persone. Questo è incomprensibile. Non hanno diritto ad alcuna somiglianza con il resto dell'umanità. Non hanno il diritto di somigliargli in alcun modo: né di assomigliarsi, di suonare allo stesso modo, né di camminare allo stesso modo"
(Dall'articolo del giornalista russo Konstantin Simonov, Strashnje fakty, in Krasnaia Zvedza, 19 dicembre 1943, p.3)
Questo processo ebbe un doppio effetto mediatico: da un lato gli Alleati iniziavano a rendere pubblici i crimini dei nazionalsocialisti tedeschi, dall’altro ai soldati tedeschi veniva mostrata l’ineluttabilità della pena per le atrocità compiute. Roosevelt e Churchill, però, accolsero la notizia del processo con timore per le possibili rappresaglie da parte dei nazisti sui prigionieri di guerra.
Berlino diede notizia della sentenza di condanna a morte emessa ai danni dei proprio militari, descrivendoli come sottoposti a un «processo spettacolo», che «non ha rispettato Convenzioni dell’Aia e ogni altro accordo internazionale». Il Governo del Reich, al contempo, comunicò ai propri cittadini che, a fronte di tale ingiustizia, sarebbero state effettuate azioni di rappresaglia anche sui prigionieri di guerra in mano ai Tedeschi.
Nel 1944 l’Unione sovietica realizzò il documentario completo sul processo, intitolato Noi accusiamo e Atrocità e Giustizia.
«I giornali di Mosca del 16 dicembre dedicano metà dell’edizione a un resoconto del processo a tre tedeschi e a un [Pag. 847] complice russo davanti al Tribunale Militare del Quarto Fronte Ucraino, iniziato il 15 dicembre a Kharkov. Gli imputati sono Reinhard Retzlav, ufficiale del 560° Gruppo della Polizia segreta tedesca di campo, Hans Ritz, vicecomandante del Sonderkommando SD di una compagnia SS, Wilhelm Langheld, capitano del Servizio militare tedesco di controspionaggio e Mikhail Petrovich Bulanov, un russo che serviva come autista per il Sonderkommando SD di Kharkov. Queste persone sono accusate dell'esecuzione di migliaia di cittadini sovietici con "furgoni per la gassaszione" appositamente costruiti, di atti di persecuzione bestiale contro pacifici cittadini sovietici e della distruzione di città e paesi in territori temporaneamente occupati, del massacro di massa di vecchi, donne e bambini, e della fucilazione, dell'incendio e della mutilazione di feriti e prigionieri di guerra sovietici. Si afferma che tutti gli imputati hanno reso piene confessioni. Il processo continua. L'articolo di punta di Izvestia, dedicato al processo, sottolinea che si tratta del primo caso in cui membri delle forze armate tedesche vengono processati per i loro crimini. Il processo ha rivelato che gli imputati stavano eseguendo la politica di Hitler e gli ordini del governo e dell'alto comando tedesco per lo sterminio sistematico dei popoli slavi. […] La dichiarazione di Roosevelt, Stalin e Churchill rilasciata alla Conferenza di Mosca avvertiva i criminali tedeschi che sarebbero stati riportati nei Paesi in cui erano stati commessi i loro crimini per essere processati e puniti.» (ESTRATTO DALLA NOTA dell'Ambasciatore statunitense in Unione Sovietica Averell Harriman al Segretario di Stato - Mosca, 16 dicembre 1943. [Ricevuta il 18 dicembre alle 14.40])
II
Immagini:
FOTO di apertura: Lettura dell'atto di accusa contro i quattro imputati. Foto di A. B. Kapustyansky (А.Б. Капустянский). Fonte: Russian State Archive of Film and Photo Documents No. 0-320090.
FOTO II: da sinistra a destra gli imputati Mikhail Petrovich Bulanov, Hans Ritz, Reinhard Retzlaff, and Wilhelm Langheld. All defendants were found guilty of war crimes and executed 19 December, 1943. Foto di A. B. Kapustyansky (А.Б. Капустянский). Fonte: Russian State Archive of Film and Photo Documents No. 0-320085.