Professoressa di Pedagogia generale e sociale presso il Dipartimento di Scienze Formazione e Psicologia dell’Università degli Studi di Firenze
A partire dagli anni Novanta l’interesse per la complessità della Shoah cresce velocemente e si moltiplicano le iniziative, scolastiche ed extrascolastiche (locali, territoriali, culturali, mediatiche ed artistiche) orientate ad approfondire e diffonderne la conoscenza. Molti insegnanti partecipano alle proposte formative, creano e collaborano ai progetti, propongono con passione i risultati delle
nuove ricerche storiografiche e sottolineano l’esigenza di presentare e trattare i fatti della Shoah in chiave interdisciplinare oltre che attraverso l’uso e la didattica della storia non solo testuale e
trasmissiva.
Per comprendere questo passaggio è necessario accennare a come il fascismo e l’occupazione nazifascista sono stati rielaborati nella memoria collettiva e nella cultura italiana, nel periodo del secondo dopoguerra. In linea generale gli anni che seguirono la fine della Seconda Guerra Mondiale furono caratterizzati da una mancata sensibilità, intenzionale o meno, nei confronti degli eventi catastrofici che avevano colpito gli ebrei in Europea e in parte nel nord Africa, le persone considerate diverse e gli oppositori politici. Gli anni Cinquanta furono particolarmente caratterizzati da un’assenza di memoria e da una cancellazione del ricordo delle persecuzioni e delle deportazioni. In Italia la conoscenza delle Leggi Razziali (oggi denominate Leggi Razziste) del 1938 con le sue devastanti conseguenze sociali, culturali, scientifiche, economiche e politiche, rimase a lungo sommersa dalla necessità di chiudere con il fascismo evitando, allo stesso tempo, di evidenziare i disastri, i soprusi e le violenze compiute dal regime. La consapevolezza delle deportazioni, delle sofferenze e di cosa significasse per i sopravvissuti non essere stati inghiottiti dalla industria della morte nazista, venne in gran parte sottaciuta per lasciare spazio all’eroismo della Resistenza. La cultura politica italiana in linea generale, fece quindi confluire le azioni della Resistenza per la liberazione dal regime con la fine della guerra e la tanto attesa pace, generando così una memoria della deportazione e dello sterminio in prospettiva essenzialmente politica. È sempre bene ricordare che anche l’Italia fascista ha contribuito in modo decisivo e intenzionale alla riuscita del progetto nazista. La possibilità data a molti ebrei italiani e a qualche ebreo straniero di nascondersi o essere aiutato negli anni dal 1943 al 1945, grazie al coraggio e alla lungimiranza di molti Giusti, non annulla le responsabilità di fronte alla completa applicazione delle leggi Razziali. Leggi che, è storicamente provato hanno costituito il presupposto e il sostegno per la caccia all’ebreo durante gli anni dell’occupazione tedesca.
Pertanto, dopo un primo tentativo di ricostruire le liste delle persone deportate e uccise, iniziato subito dopo la guerra, a partire dalla fine degli anni Cinquanta non furono tanto gli storici o i politici a far emergere una prima consapevolezza su quanto accaduto, ma la memorialistica espressa attraverso la letteratura. Prima tra tutte per il messaggio umano, diretto e nello stesso tempo profondamente chiaro nel delineare la condizione di annientamento dell’essere umano nel lager, è stato il libro di Primo Levi, Se questo è un uomo. Le vicende storiche di questo capolavoro sono ben note. Il libro viene finalmente pubblicato per i tipi dell’Einaudi solo nel 1958. Il lavoro di Primo Levi, diventerà una pietra miliare per osservare e conoscere la Shoah attraverso gli occhi di chi pur essendo stato portato nell’abisso dell’uomo, ha avuto la forza e la fortuna di non essere avvolto dentro il fumo di Auschwitz. Contemporanei al libro di Levi sono stati altri importantissimi racconti autobiografici, che testimoniano la inenarrabile catastrofe dei campi di sterminio. Tra questi ricordiamo i nomi di Giuliana Fiorentino Tedeschi, Alba Valech Capozzi, Frida Misul, Luciana Nissim Momigliano e Liana Millu.
Dalla fine degli anni Cinquanta e per tutti gli anni Sessanta, è soprattutto la memorialistica che permette di ricostruire un primo quadro storico di quanto avvenuto in Italia. I libri di Primo Levi, il Diario di Anna Frank, Il Giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani (1962) cominciano ad entrare nei curricula scolastici. Solo più tardi, a metà degli anni Settanta la casa editrice Einaudi presenterà la collana “Letture per la scuola media” all’interno della quale vengono riproposte in edizione commentata, alcune opere degli Autori citati. Tuttavia, benché un rinnovamento dei programmi scolastici del 1960 prevedesse il richiamo alla storia contemporanea, era largamente assente il supporto storiografico necessario a contestualizzare le narrazioni.
Nel frattempo, in ambito ebraico, nel 1955, in occasione del decimo anniversario della Liberazione, la Federazione Giovani Ebrei d'Italia (FGEI) realizza il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea - CDEC, con lo scopo di promuovere e sviluppare “la ricerca e l'archiviazione di documenti di ogni tipo riguardanti le persecuzioni antisemite in Italia e il contributo ebraico alla Resistenza";. Nel corso degli anni il CDEC, attraverso un’approfondita ricerca storica e bibliografica che ha permesso la ricostruzione di ciò che è accaduto agli ebrei italiani, di portare alla luce molti aspetti della storia della Shoah, diventando così un importante punto di riferimento per lo sviluppo della didattica della storia della Shoah nelle scuole.
Nel 1961, su commissione dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (come si chiamavano allora, oggi Ebraiche) viene pubblicato “Storia degli Ebrei Italiani sotto il Fascismo” ad opera di Renzo De Felice, Esso rappresenta il primo saggio storico che mette mano alla documentazione del regime e cerca di ricostruirne i fatti che hanno portato alle Leggi Razziali del 1938 e alle deportazioni del 1943-45. Le tesi sostenute da De Felice daranno un’interpretazione dei fatti e del periodo fascista che poi sarà discussa e fortemente criticata.
Negli stessi anni, a livello internazionale vengono pubblicate molte opere di ricostruzione storica, alcune delle quali vengono tradotte in Italiano. Contemporaneamente in cui si fanno sempre più mirate e incalzanti le ricerche per la cattura dei criminali nazisti sfuggiti ai processi di Norimberga. Simon Wiesenthal fonda, nel 1947, il primo Centro di documentazione a Linz in Austria. Qualche anno più tardi, nel 1960 viene scovato, e portato in Israele per essere processato nell’aprile del 1961 Adolf Eichmann, uno dei cinquanta gerarchi nazisti riusciti a scappare in Sud America. Il processo Eichmann rappresenta per molti aspetti uno spartiacque per la percezione dei ruoli assunti dalle persone durante la Shoah. Si definiscono le tre macrocategorie di vittime, indifferenti e aguzzini e viene dato legittimo spazio ed ascolto alle testimonianze dirette di chi aveva vissuto l’esperienza della cattura, della deportazione e del lager. Venne così avviata una nuova riflessione sulla necessità di promuovere la cultura della memoria. La Shoah doveva essere spiegata alle generazioni più giovani perché il pericolo del ritorno del male, della distruzione e dell’annientamento può nascondersi proprio nelle cose più quotidiane e banali.
Una nuova consapevolezza di quanto fosse importante portare i giovani a conoscenza della contemporaneità venne discusso durante il Convegno di Ferrara del 1970, dal titolo “Libri di testo e Resistenza”.
Al convegno parteciparono oltre che docenti e storici, anche illustri nomi della storia dell’educazione e della pedagogia italiana come Lamberto Borghi, rifugiatosi in America durante le Leggi Razziali e Antonio Santoni Rugiu che interpretava la storia dell’educazione attraverso la prospettiva sociale. I due pedagogisti posero soprattutto in evidenza la necessità di trattare la contemporaneità in prospettiva interdisciplinare. Per quanto il riferimento alla conoscenza della Shoah non fosse ancora chiaramente espresso come argomento prioritario, portare al centro del dibattito la contemporaneità degli argomenti storici da trattare a scuola per l’importanza della trasmissione dei valori di libertà, giustizia, uguaglianza, democrazia, repubblica, permise di iniziare a
intraprendere la strada del recupero della memoria locale, delle narrazioni e delle testimonianze come contributo di arricchimento alla conoscenza storica. Il volume Libri di testo e R. Atti del convegno nazionale tenuto a Ferrara il 14-15 novembre 1970. (a cura di Lamberto Borghi,Guido Quazza, Antonio Santoni Rugiu, Claudio Dellavalle) Editori Riuniti, Roma, 1971, ricostruisce le nuove idee di quel convegno.
Nel corso degli anni, soprattutto nel decennio successivo, si fecero strada piccoli progetti il cui obiettivo era quello di indagare sulle storie locali anche attraverso l’uso delle fonti orali, delle narrazioni, e dei saperi tramandati. Molte di queste esperienze vennero realizzate grazie alla collaborazione tra gli Istituti Storici della Resistenza e i docenti delle scuole superiori.
Gli anni Ottanta furono caratterizzati da un graduale e crescente riaffermarsi dell’antisemitismo alimentato dalle questioni mediorientali, che tuttavia non impedirono lo svilupparsi di nuove e varie sperimentazioni didattiche. È del 1982 l’attentato alla Sinagoga di Roma, condotto da un commando di cinque terroristi palestinesi e considerato il più grave atto antisemita condotto nell’Italia del Secondo Dopoguerra.
Sul piano didattico, in alcune regioni italiane, l’avvio di una collaborazione con l’ANED (associazione nazionale ex deportati) permise di cominciare a costruire dei percorsi di formazione per insegnanti e a coinvolgere gli studenti delle superiori nella preparazione di lavori ed elaborati sulla storia contemporanea. I lavori migliori venivano premiati con la possibilità di partecipare ad un viaggio di studio a Mauthausen.
Nel 1993 si tenne a Torino il convegno “Shoah e deportazione nella didattica della storia” i cui atti furono raccolti in un volume edito dalla Bollati Boringhieri nel 1995 a cura di Enzo Traverso dal titolo “Insegnare Auschwitz. Questioni etiche, storiografiche, educative della deportazione e dello sterminio”. Il volume costituito da due sezioni, passa in rassegna critica le questioni etiche e storiografiche sollevate dalla mostruosità di un evento che sembra eccedere la capacità di comprensione e spiegazione della ragione umana, e considera quali possono essere i possibili approcci didattici adatti a trattare un tema così capace di toccare sensibilità e nello stesso tempo dolore, sofferenza e violenza. Questioni didattiche rilevanti sorte dal timore di ottenere l’effetto opposto a quello auspicato per la difficoltà a trattare certi argomenti comunque ancora storicamente e generazionalmente vicini agli studenti.
A distanza di tre anni dal convegno di Torino, il Decreto Ministeriale Berlinguer del 4 novembre 1996 n. 681 apportava delle modifiche sostanziali alla suddivisione annuale del programma di Storia. Con il Decreto veniva ampliata l’attenzione al Novecento. Tale approfondimento doveva essere proposto durante gli anni conclusivi di ogni ciclo di studi, a partire dalla Scuola primaria fino alla Scuola secondaria di secondo grado. Due anni più tardi, a distanza di cinquant’anni dalle Leggi Razziali, ancora il ministro Berlinguer vara il progetto “Il Novecento i giovani e la memoria”. Tale iniziativa fu collegata, secondo la Circolare Ministeriale n. 411/1998 all’istituzione di un apposito finanziamento per i progetti che prevedevano, come conclusione dell’itinerario formativo, la visita ad uno dei campi di sterminio nazisti. L’invito a partecipare a ricerche e approfondimenti sul Novecento permise di aprire la porta allo studio legislazione fascista antiebraica, alle dinamiche delle deportazioni, a fare luce sulla responsabilità dei fascisti ai rastrellamenti, alle torture e alle stragi.
Per una più comprensibile lettura degli sviluppi della didattica della Shoah, va fatto cenno a come le politiche scolastiche degli ultimi anni Novanta si incrociano con importanti trasformazioni sociali, culturali e politiche. Con il cambiamento dello scenario politico italiano determinatosi con il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica (1992-1994), e la salita al poter di una forza politica di Centro Destra, il ruolo storico della Resistenza inizia ad indebolirsi. Nello stesso periodo iniziano i processi migratori che portano nella scuola italiana i bambini provenienti da altre realtà sociali e culturali. La scuola risente per prima di questo cambiamento e nel 1990 con la Circolare n. 205 fornisce il primo documento per l’accoglienza nella scuola dell'obbligo gli alunni stranieri e la conseguente e necessaria progettazione di un'educazione interculturale. Le questioni dell’accoglienza, della presenza di bambini culturalmente diversi, della necessità di superare le forme di pregiudizio e di esclusione, il diffondersi della paura per lo straniero e il conseguente pericolo del razzismo, stimolano a una lettura dei processi che hanno portato alla Shoah. È per dare risposta a queste problematiche che viene diffusa la circolare ministeriale n. 73 del 2 marzo 1994 nella quale viene dedicato uno specifico spazio a chiarire come l'educazione interculturale non si esaurisca nei problemi posti dalla presenza di alunni stranieri a scuola, ma si estenda alla complessità del confronto tra culture, nella dimensione europea e mondiale dell'insegnamento e costituisca la risposta più alta e globale al razzismo e all'antisemitismo. In particolare viene detto che “la prevenzione dell'antisemitismo comporta una riflessione sulle radici storiche e ideologiche del fenomeno e sull'enormità del genocidio, nonché una migliore conoscenza dell'ebraismo e dell'apporto che i cittadini italiani di religione e di cultura ebraica al progresso civile e scientifico della nostra società”.
Si arriva quindi, dopo un acceso dibattito parlamentare alla legge n. 211 del 2000 che istituisce il 27 gennaio di ogni anno “Giorno della Memoria”, in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. La Legge in oggetto apre un nuovo capitolo sulla didattica per la conoscenza della Shoah nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, permette che si attivino iniziative sempre più orientante a salvaguardare la memoria di ciò che è stato e l’ascolto attento e partecipato delle testimonianze di chi è sopravvissuto e si è salvato dalla deportazione, dall’internamento e dallo sterminio. Strettamente collegate alla legge vengono promosse due importanti iniziative che chiariscono bene i nuovi bisogni educativi e formativi della scuola italiana. Da una parte il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca Scientifica, in stretta sinergia con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane lancia, a partire dal 2001, un concorso nazionale
annuale sul tema della Shoah per tutti gli alunni delle scuole italiane, dall’altra nel 2000 vengono avviate le trattative tra il governo italiano e israeliano per organizzare un seminario di formazione per docenti italiani di 120 ore, presso la Scuola Internazionale di Formazione Superiore di Yad Vashem (Gerusalemme).
Al concorso annuale “I giovani ricordano la Shoah” il MIUR e l’Unione della Comunità Ebraiche Italiane lavorano con costante sinergia, condividendo le responsabilità, sia nella scelta delle tracce, sempre molto attuali, sia nella valutazione dei numerosi prodotti inviati dalle scuole italiane. In questi ultimi anni il concorso “I giovani ricordano la Shoah” ha realizzato diverse mostre itineranti che hanno permesso a molti docenti e studenti di apprezzare la creatività di coloro che avevano inviato al ministero il proprio prodotto realizzato.
In tempi più recenti si è inoltre formalizzato il rapporto tra il MIUR e la Scuola Internazionale di Formazione Superiore di Yad Vashem. Nel 2011 è stato firmato l’accordo quadro tra le due istituzioni con lo scopo di permettere ai docenti scelti dalle diverse regioni italiane di partecipare ad una settimana di formazione presso l’istituzione israeliana. In linea con l’accordo quadro, tre Uffici Scolastici Regionali (Emilia Romagna, Lombardia e Toscana) in collaborazione con altri enti e istituzioni del territorio, hanno stabilito dei protocolli di intesa per la ricerca, la didattica e la partecipazione dei docenti ai seminari di formazione a Yad Vashem.
Per ampliare le opportunità formative e di scambio internazionale, Il MIUR e il Mémorial de la Shoah di Parigi hanno siglato un protocollo d’intesa per attuare diverse azioni relative alla storia e alla memoria della Shoah. Ogni anno è previsto almeno un seminario residenziale per docenti di lingua italiana da svolgersi a Parigi.
Seminari e percorsi di formazione e approfondimento per docenti ed educatori vengono realizzati oltre che dal CDEC di Milano anche da alcune sedi universitarie. A sostegno della formazione dei docenti e dei ricercatori, nel 2005 viene organizzato il Master internazionale di II livello “Didattica della Shoah (Storia, memoria e ricordo, filosofia, letteratura e arte, religione, psicologia del profondo e scienze sociali)”, presso l’Università Roma3. Il Master si propone di offrire una specifica occasione di approfondimento interdisciplinare della tragedia della Shoah, con particolare attenzione alla dimensione didattica ed educativa della memoria.
A partire dai primi anni del nuovo millennio si sono realizzate molte sperimentazioni e iniziative a favore della conoscenza della Shoah in Italia che hanno visto un diretto supporto da parte dei musei, associazioni e centri culturali presenti nelle varie regioni. In Toscana dal 2002 viene organizzato un Treno della Memoria che parte alla fine di gennaio e porta gli studenti a visitare il campo di sterminio di Auschwitz. Dopo i primi anni di sperimentazione viene ripensata la proposta organizzativa. Dal 2005 la visita viene svolta ad anni alterni. Su quel treno salgono ogni volta almeno cinquecento studenti delle scuole superiori. La partecipazione all’esperienza è preceduta da una summer school alla quale i docenti interessati a coinvolgere, preparare e accompagnare gli studenti, devono partecipare obbligatoriamente.
Similmente il MIUR organizza ogni anno, in collaborazione con l’UCEI e la Fondazione Museo della Shoah di Roma, un viaggio istituzionale in Polonia e nel campo di Auschwitz-Birkenau. Al viaggio partecipano studenti delle scuole secondarie, il ministro dell’istruzione e altri membri del governo italiano.
In collaborazione e a sostegno del lavoro didattico delle scuole vanno segnalati alcuni musei. Tra questi la Fondazione Museo della Shoah Onlus istituita nel luglio 2008 ad opera del Comitato promotore del progetto Museo della Shoah. La mission della Fondazione Museo della Shoah è quella di dare impulso alla costruzione del Museo Nazionale della Shoah a Roma. Anche la Fondazione Memoriale della Shoah di Milano nasce nel 2007 con l’obiettivo di realizzare un “laboratorio della memoria”. Il 27 gennaio 2013 viene inaugurato “il cuore” del Memoriale con il Muro dell’Indifferenza e quattro vagoni originali restaurati a cura del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani. Mentre il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah - MEIS nasce con la legge del 17 aprile 2003 n. 91, poi emendata dalla legge n. 296 del 27 dicembre 2006, “quale testimonianza delle vicende che hanno caratterizzato la bimillenaria presenza ebraica in Italia” e viene inaugurato nella nuova struttura il 13 dicembre del 2017.
Già alla fine del secolo scorso alcuni pedagogisti avevano dato avvio ad una riflessione sulla didattica della Shoah e sull’importanza del perché insegnare e costruire la memoria con le future generazioni, e abbia significato la catastrofe e il male compiuto da esseri umani verso i loro simili. Grande impulso e creativo impegno per un rinnovato rapporto tra ricerca e didattica della Shoah, è sicuramente stato quello realizzato per quasi trent’anni da Alessandra Chiappano (1963-2012). Pedagogisti come Giuseppe Vico, Anna Maria Piussi, Milena Santerini, Raffaele Mantegazza, hanno contribuito ad aprire nuovi orizzonti pedagogico-educativi orientanti a far emergere l’importanza della conoscenza, della rielaborazione del ricordo e della memoria per la costruzione di una società che non sia più assopita tal torpore dell’indifferenza e manovrata dalla facile ossessione dell’altro come nemico.
Oggi emerge sempre di più la necessità di costruire e creare, in un’ottica interdisciplinare, gli strumenti e le competenze per comprendere come le vie della storia, della memoria, della democrazia e della consapevolezza possano costituire le basi per una nuova progettazione della cultura di pace. Va però notato che il prioritario interesse per l’insegnamento delle questioni e dei processi che hanno portato a costruire e realizzare lo sterminio, ha lasciato in ombra quale sia stato il significato storico-pedagogico dell’educazione ebraica in Italia nel corso dei secoli. Uno spazio veramente marginale viene lasciato alla conoscenza delle strutture scolastiche realizzate prima e dopo le Leggi Razziali, a come sia stata mantenuta l’attenzione verso l’educazione anche nei momenti più estremi, a come si è concretamente realizzata la volontà di ripartire proprio dalla scuola e dallo studio per superare i traumi e le sofferenze delle persecuzioni.
Tra i numerosi contributi che nel corso degli anni sono stati prodotti anche da insegnanti e ricercatori, ricordiamo il volume coordinato da Anna Piperno “La Lezione della Shoah” della Collana di Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, n.117-118, Roma 2006-2007. Essendo una raccolta di preziosi apporti di storici, pedagogisti, psicologi, docenti e ricercatori, rappresenta uno dei lavori più attuali e significativi per chi desideri avere un quadro d’insieme sia delle questioni a cui la Shoah richiama, che delle modalità educative e didattiche con cui è possibile avviare una riflessione su ciò che è accaduto, nel rispetto della sensibilità e delle competenze di apprendimento degli studenti.
Dal 2000 si è rafforzato anche lo scambio delle esperienze didattiche ed educative per la conoscenza della Shoah con altri Paesi, grazie all’impegno costante della delegazione italiana dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance). Fino al 2013 l’organizzazione era conosciuta come “Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance, and Research”. ll MIUR ha costituito nel 2003 (con decreto ministeriale n. 5450 del 28 agosto 2003) una delegazione italiana, per partecipare ai lavori della Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance and Research (ITF), Task Force per la cooperazione internazionale sull'educazione, il ricordo e la ricerca sull'Olocausto, nata nel 1998. Da allora ogni delegazione, in riferimento a quelle che sono le politiche, le storie, le memorie, le conoscenze locati è impegnata a combattere l'antisemitismo e tutti i razzismi tramite educazione, ricerca e memoria. La delegazione
italiana ha avuto la presidenza dell’IHRA per due mandati, nel 2005 e nel 2018.
Durante i periodi di presidenza sono state promosse e diffuse iniziative per la formazione e il coinvolgimento dei docenti alla conoscenza della Shoah. Nel 2005 si è svolto a Montecatini dal 28 febbraio al 2 marzo un seminario nazionale che ha messo al centro del dibattito il rapporto tra la didattica della Shoah e la società multiculturale. Nello stesso anno Sono stati realizzati due siti internet: "Scuola e Shoah" e "ITF - Italian delegation" ospitati entrambi dal portale del MIUR, per raccogliere e mettere a disposizione tutti i materiali documentali e le informazioni relative alle attività svolte dalle scuole e dalla delegazione italiana. Nel corso degli ultimi anni i siti hanno subito delle modifiche e alla fine di gennaio 2019 verrà presentato il nuovo network promosso dall’UCEI e dal MIUR per la conoscenza, diffusione e la condivisione delle buone pratiche di didattica per la conoscenza della Shoah.
Durante la presidenza del 2018 la delegazione italiana, oltre ad avere realizzato due plenarie internazionali, alcuni convegni internazionali che hanno coinvolto un largo pubblico di docenti, ha varato, in sinergia con il MIUR e l’UCEI “Le Linee Guida Nazionali per una didattica della Shoah a Scuola”.